martedì 16 ottobre 2007

n. 1 "Responsabilità Sociale di Impresa"


Antonio Rizzo

Prefazione e sintesi di Giovanna Cuturi

Responsabilità sociale di impresa
Tendenza criminale vs. Opera d'arte

INDICE
Prefazione
I. Cosa non è la responsabilità sociale
II. Società tendenzialmente criminale
III. La sintesi etica/profitto/opera d’arte
IV. Riepilogo

Prefazione di Giovanna Cuturi

In questa presentazione, non si può prescindere dall’accennare al “luogo” nel quale si è sviluppata ed infine ha preso forma la visione della responsabilità sociale di impresa dell’autore: un blog (www.bloggers.it/antoniorizzo/ - Sezione “Politica e Società”).
Quanto viene presentato di seguito è infatti una mia sintesi di quanto l’autore del blog, Antonio Rizzo, ha scritto in merito all’argomento e la ricostruzione di una particolare griglia interpretativa che permette, in maniera semplice, di valutare i comportamenti sociali: è stata infatti già applicata nell’ambito legale e dell’associazionismo.
L’input della teorizzazione, accanto ai suggerimenti e allo studio approfondito dell’autore e dei suoi amici, è sorto da un famoso dialogo riportato in alcuni testi cinquecenteschi:
“…due muratori, addetti alla costruzione di una Cattedrale francese, nella pausa di lavoro, stanchi e affaticati, mentre mangiavano un pezzo di pane nero, parlavano delle proprie vite e della loro attività. Il primo, depresso e stanco, malediceva quel lavoro così pesante e si augurava di poter, nel tempo, lavorare sempre meno. Il secondo muratore, pur egli affaticato, alzando gli occhi contemplava la progressiva costruzione della Cattedrale e affermava invece di essere felice per aver contribuito, con il suo lavoro, all’edificazione di un’opera così grandiosa che sarebbe stata, nei tempi, una imperitura testimonianza della creatività e ingegno di coloro che avevano contribuito a renderla tale”.
Alla luce di questo aneddoto, il concetto di responsabilità sociale di impresa si innesta su una visione dell’agire basato su creatività e professionalità derivante da una sensibilità artistica ad ampio raggio nonché da una forte fede e passione nei confronti della attività intrapresa e della collettività.
Nell’impresa, il solo rigido calcolo economico, se non abbinato alla sensibilità accennata, porta a comportarsi in modo simile al primo muratore che tratterà qualsiasi attività come un grande fatica e cercherà sempre o di lavorare il meno possibile o di trovare sotterfugi o vie traverse per ottenere un personale massimo profitto.
Chiave di volta, per rimanere in tema architettonico ed elemento originale della produzione dell’autore, è uscire dal luogo comune che responsabilità sociale di impresa sia sinonimo di beneficenza o di filantropia e che per essere socialmente responsabile un’impresa non debba perseguire il massimo profitto.
Questo lavoro è infatti un tentativo per indicare che il punto di arrivo delle imprese o delle persone che vogliono assumere un comportamento socialmente responsabile è la sintesi creazione di valore economico/mezzi etici per finalità da condividere.

I. Cosa non è la responsabilità sociale
I siti in Italia relativi alla parola chiave “responsabilità sociale di impresa”, sono migliaia ed in essi, è difficile trovare l’elaborazione di un progetto fattibile partendo da premesse reali.
Sono inoltre terrorizzato dall’impressionante numero di master sul tema in programma e, leggendo alcuni moduli, ho avuto l’impressione che di teoria ce ne sarà per tutti i gusti, ma di progettualità ben poca. A questo aggiungo (non ho il timore di scriverlo) che il fine effettivo, per quelli ad altissimo costo, è quello di far pagare tali cifre a neolaureati o dirigenti di aziende collegate e che il fine di quelli gratuiti (finanziati da Istituzioni) è quello di ottenere il contributo pubblico la cui destinazione, buona parte, è documentata dai casi clamorosi degli ultimi anni (menomale che si tratta della Responsabilità sociale di impresa!).
In questa sede, voglio sottolineare, prima di specificare la mia teorizzazione, cosa non è per me la responsabilità sociale di impresa ed in particolare, i significati che vengono ad essa attribuiti.
La mia visione è infatti in netto contrasto con quelle che definisco “leggende metropolitane” ossia di coloro che:
privilegiano una società che tende solo al massimo profitto e che ho definito quale tendenzialmente criminale e di cui tratterò nel paragrafo successivo;
di coloro che risolvono l’interesse etico in una programmata forma pubblicitaria con donazioni spicciole ed insignificanti;
coloro che sono mossi da un “rimorso di coscienza” di medioevale memoria;
coloro che partecipano a pseudo-organismi di assistenza e/o cooperazione che di sociale hanno solo la denominazione;
Sul primo punto (punto A), il più importante, scriverò di seguito.
Per quanto riguarda il punto B, non si può negare che oggi si ostenti, a più riprese, un interesse etico in forme altamente spettacolarizzate che, privilegiano appunto lo spettacolo e il ritorno di immagine che, a sua volta, produce un conseguente e consistente utile.
Queste dinamiche sono soltanto un “falso scopo” e non reggono di fronte alle verifiche di adeguamento ai codici etici così come indicati da me e da eminenti studiosi.
Gli eventi di beneficenza, sempre più spesso amplificati grazie all’ausilio dei media di massa, si risolvono in spettacoli da baraccone che ricordano fiere di paese (penso a Teleton) o ridicole esibizioni sportive etichettate come eventi “del cuore”; a ciò va aggiunta la pratica di collegare eventi artistici con il patrocinio di imprese che nulla hanno a che vedere con l’evento stesso: non vedo nulla di etico nell’abbinamento di una grande mostra di Gaughen e una ditta che produce bocconcini per gatti o una maratona di beneficenza collegata ad una ditta di profilattici.
Oltre queste pratiche, considero inoltre discutibile abbinare gli investimenti finanziari ad una presunta verifica etica: gestioni patrimoniali, fondi etc, con la copertura di finalità etiche, sono utilizzati solo quali canali distribuzione per il collocamento dei prodotti finanziari: questi prodotti che non a caso hanno rendimenti inferiori alla media, sono in contrasto con quanto sempre da me affermato, che l’utilizzo dei codici etici porta comunque ad un massimo profitto (confronta, a questo proposito, la linea di investimento Ducato dei MPS convenzionata con l’associazione Civita o a tutte le iniziative proposte dalla Banca Etica etc).
A questo punto occorrerebbe rivalutare il famoso fondo americano che, con un programma di investimento indirizzato esclusivamente su aziende legalmente riconosciute quali Casinò, Nigth Club e Case di tolleranza, rende un alto utile e, in sede di verifica risulta, sembra paradossale, in linea con i codici etici secondo la mia definizione; I comportamenti indicati al punto B, oltre che riconducibili all’impresa in senso macro, si sostanziano anche per singoli individui; per quest’ultimi si esternalizzano in “derby del cuore”, spettacoli teatrali per l’adozione a distanza dei bambini del Sierra Leone e soprattutto, nelle innumerevoli cene con feste (penso ai vari Rotary, Lions, Cavalieri di Colombo, Croce Rossa Sporting Montecarlo etc…) in cui anche eminenti ed attempate personalità ( “uomini chic e donne in nude-look cellulitico) si divertono in maniera ridicola fingendo di aiutare gli affetti di sclerosi multipla o le donne colpite dal cancro alla mammella.
Al punto C si possono ricondurre i comportamenti di coloro che, dopo una vita trascorsa ad agire in maniera egoistica e con operatività che non hanno nulla di etico, violano abitualmente anche le leggi e, soprattutto in età matura, elargiscono buona parte del loro patrimonio ad organizzazioni benefiche o si dedicano personalmente ad opere caritatevoli o di assistenza.
Queste persone, dopo aver razzolato male e cercato in ogni modo di ottenere i massimi piaceri in Terra sperano, consapevolmente o furbescamente, di guadagnarsi anche il Paradiso in Cielo. Una volta passati forse a miglior vita, i lasciti di costoro, nei vari secoli, hanno creato la base per la costituzione di grandi organizzazioni.
Quest’ultime, nominalmente hanno per scopo la beneficenza e/o la assistenza, ma in definitiva, sono solo ciclopiche, mastodontiche, vere e proprie aziende che gestiscono una vastità di beni mobili ed immobili, creando rendite parassitarie: chi infatti gestisce a vario titolo questi beni, costituisce una specifica èlite con un grande potere derivatogli dall’entità dei beni amministrati.
Anche questi personaggi, accanto a re, imperatori e principi, possono rientrare nella categoria che coniò Malatesta: mangiapane a tradimento.
Per quanto riguarda gli organismi di cooperazione e assistenza (punto D), da molto tempo si identificano come Enti sensibili alle problematiche legate alle drammatiche condizioni socio-economiche del Terzo Mondo ed, ultimamente, alcune di esse, hanno assunto interesse anche per le problematiche di politica internazionale.
Per questo punto, voglio sottolineare che bisogna sempre distinguere il fine programmatico e ciò che nella realtà si è verificato: davanti agli occhi di tutti sono gli “scandali” delle attività legate alla cooperazione internazionale, la stampa italiana ed estera ha trattato diffusamente l’argomento con dovizia di particolari: mi vengono in mente subito le superstrade costruite in lande desertiche laddove invece la popolazione ha emergenti problemi di sopravvivenza per non parlare poi delle personalità della politica locale che hanno utilizzato i contributi stanziati per lo sviluppo per finanziare l’acquisto di armi e/o fomentare conflitti tra Stati o per indire azioni di repressione nei confronti di etnie diverse o di minoranza.
Il principio base di queste forme di cooperazione era nato, già agli esordi, in maniera anomala: la maggior parte dei responsabili e degli attivisti, accanto ad una generica e dichiarata sensibilità sociale, effettivamente vi partecipavano in quanto non riuscendo in Italia ad inserirsi nel mondo del lavoro, a fronte di una precarietà lavorativa senza prospettive, optavano per una dignitosa remunerazione prevista.
È evidente che, senza vere motivazioni, l’effettiva attività di questi ex disoccupati, pur in possesso di una valida preparazione culturale, è stata nei paesi in via di sviluppo molto variegata ed ha portato anche ad una serie di tensioni di impatto internazionale che hanno evidenziato tutta la serie di implicazioni politiche, affaristiche, psicologiche che ne erano alla base.
Non mi meraviglio dunque che questo tipo di cooperazione e di assistenza, vista alla luce degli effettivi risultati, ha addirittura creato un’immagine distorta dell’Italia: l’intreccio di interessi tra uomini politici, organizzazioni, esecutori ed autorità conniventi del luogo, aveva completamente ribaltato il tipo di cooperazione che era prevista originariamente.
Su tutto quello che è accaduto e sulle vicende legate a questa atipica cooperazione, è il caso di stendere un velo pietoso.
I tre punti, così specificati, credo che delineano l’ottica mia e del mio team sulla responsabilità sociale, puntualizzando sui mezzi etici ed elevata finalità e distinguendo tra apparenza ed effettivi e verificabili risultati.

II. Società tendenzialmente criminale
La mia idea è che, in sede di sviluppo sostenibile, l’orientamento attuale purtroppo perseguito anche in tante celebri sedi universitarie, è fuorviante: si persegue infatti esclusivamente una “creazione di valore” e una logica finalizzata al “massimo profitto”.
Penso che in qualsiasi azienda il profitto sia la base prioritaria e imprescindibile ma, come molti esempi attuali hanno evidenziato, il creare a qualsiasi costo visibilità e stock options per i massimi dirigenti e alti profitti per gli azionisti, spesso comporta un travisamento della situazione reale e di lì a poco tempo tutta una serie di variabili (indicatori) portano a fronte di una immagine vincente, conseguenze estremamente negative soprattutto per ignari investitori; si pensi ad esempio alle conflittualità sindacali, alle situazioni mobbizzanti, alle rivalse di fornitori e/o creditori non soddisfatti, agli impatti ambientali non consoni con disposizioni di legge, ai pesanti interventi sanzionatori etc.
Nell’ottica di un profitto a lungo termine, che comunque deve essere raggiunto, si ricorre a comportamenti di forzatura delle leggi e talvolta alla richiesta di intervento di una vaga e diffusa area di criminalità.
Questo atteggiamento, diffuso e radicato, configura una “società tendenzialmente criminale” .
I comportamenti cui mi riferisco, possono essere attuati indirettamente condizionando pesantemente lo sviluppo della azienda mediante interventi mirati a bloccare le situazioni negative con metodi a dir poco discutibili (ad es. intimidazione dei dipendenti, blocco degli scioperi, concessioni ottenute con tangenti) o direttamente attraverso l’immissione di capitali di dubbia provenienza con conseguente gestione mirata a interessi particolari, non trasparenti, che di responsabilità sociale ne ha ben poca e ci riportano a modelli che nel III Millennio non dovrebbero aver più ragione d’essere.
La società tendenzialmente criminale, nell’ambito dello sviluppo delle imprese di varie proporzioni, non è assorbibile dal sistema e non è una percentuale esigua tale da non alterare equilibri, ma il punto di arrivo “vincente” di manager e operatori che, dopo aver violentato leggi e principi in modo palese od occulto, risultano “perdenti” nei confronti di chi utilizza le armi nel senso materiale della parola, le intimidazioni, il ricatto e tutti i tipi di illegalità.
Il risultato di questi sistemi sicuramente sarà vincente, creerà continuo valore e profitto (nessuno potrà negarlo!) ma porta naturalmente alla assuefazione di ciò che insegna la massima latina “pecunia non olet” e diventa nel tempo, purtroppo, modello operativo da imitare.

III. La sintesi etica/profitto/opera d’arte
Il massimo profitto può essere raggiunto sia mettendo in atto comportamenti socialmente responsabili sia tendenzialmente criminali.
Quale è allora l’elemento che supera l’empasse?
Cosa dovrebbe determinare la scelta etica considerata come mezzo per il raggiungimento di un massimo profitto?
Etica e profitto non sono concetti incompatibili.
L’elemento di scelta è dato dalla possibilità di rendere operativi i principi etici che possono essere considerati fattori per il raggiungimento del profitto.
Un’impresa che non opera in maniera socialmente responsabile può ottenerre un alto profitto (sia nel breve che nel lungo periodo) e rendere felici anche gli speculatori; la creazione di “valore” avviene però occultando le situazioni reali che, se monitorate e verificate continuamente, evidenziano i punti non rispettati e non chiari; quest’ultimi normalmente innescano un fall out negativo a ritroso che annulla in tutto o in parte il profitto raggiunto.
L’impresa che invece opera in modo trasparente e rende evidente l’applicazione di principi etici è immune da considerazioni negative e i costi diventano investimenti e creatori di utili senza “vizi occulti”.
Mettere in atto in un’impresa comportamenti socialmente responsabili produce quindi un profitto reale e non apparente.
Il profitto reale essendo il risultato, a prova di un imperterrito e continuo controllo di verifica (di tutti gli interlocutori), si configura non solo come creazione quantificabile in termini matematici, ma come, utilizzando creatività, innovazione e il coinvolgimento di tutti coloro che partecipano alla vita dell’impresa, una opera d’arte che assume valore autonomo, visibile, ammirabile dall’esterno e persino imitabile.
Possiamo affermare in ultima analisi che, considerando l’etica quale mezzo, il fine/obiettivo a cui devono tendere i responsabili della gestione dell’impresa non è la moralità metafisicamente intesa né l’adeguamento a un diritto positivo o il riferimento ad altre finalità da più parti sostenute, bensì un profitto paragonabile alla creazione di valore artistico che assume autonomia e validità.
Credo che questa particolare opera d’arte, porta alla massima gratificazione dei suoi creatori con l’aggiunta, il che non guasta, di un notevole ritorno economico tale che , forse solo in questo caso, non comporta recriminazioni da parte della comunità.
Secondo me, partendo da questo principio, coloro che agiscono con tali mezzi(codici etici) e per tali finalità (anche il profitto), raggiungono una serenità interna e somatica, visibile all’esterno; attualmente invece, alcune note personalità considerate di successo, hanno un’immagine grigia, altezzosa e vagamente vampiresca.
Le finalità/obiettivo di una impresa socialmente responsabile, sono profitto e creazione di valore artistico, concetti interconnessi e non contrapposti.
Per raggiungere la creazione di valore sia quantitativo che qualitativo, che configurino una completa opera d’arte, occorrono mezzi etici adeguati.
A mio avviso, concordo con quanto autorevoli studiosi, fra cui il Serra, hanno suggerito.
Dalla impostazione che segue si potrà infatti notare come, l’introduzione di comportamenti etici e socialmente responsabili nella gestione di impresa, non sono disgiunti dal raggiungimento di un vantaggio economico e quindi di un profitto che equivale al traguardo della massima eccellenza:
Rapporti con gli Azionisti: fiducia nell’investimento, maggiore valore degli assets e orgoglio per il contributo dato ad una realtà economica dai riflessi sociali positivi con l’esclusione di qualsiasi investimento a carattere altamente e unicamente speculativo.
Rapporti con i Clienti: riduzione dei reclami e dei contenziosi, riduzione delle spese legali, fiducia, fidelizzazione e coinvolgimento nelle finalità.
Rapporti con i Fornitori: trasparenza delle transazioni nella catena di fornitura e semplificazione del trattamento delle non conformità, comakership più facilmente realizzabile, riduzione dei costi di accettazione fino alla introduzione del “free-pass”, autorevolezza , credibilità ed eliminazione della prassi consolidata di far emergere profitti apparenti dovuti a programmati ritardi negli adempimenti di pagamento agli stessi.
Rapporti con le Banche: le condizioni di finanziamento per Aziende ad elevata reputazione risultano più vantaggiose, specialmente da parte di Istituti di Credito Svizzeri, Inglesi e Statunitensi.
Rapporti con le Compagnie di Assicurazione: i premi si riducono per effetto del minor rischio ambientale, sociale e per la riconosciuta serietà e correttezza nella richiesta di risarcimento.
Rapporti con i Concorrenti: lealtà nella competizione e riduzione dei contenziosi, prestigio nella presenza sul mercato e autorevolezza nelle partnership richiesta in maniera privilegiata da parte di altre aziende.
Rapporti con le Istituzioni. Riduzione dei contenziosi e miglioramento dei rapporti con il fisco, con gli Enti di Previdenza e Assistenza, con gli Enti di tutela della sicurezza e dell’ambiente, con le Rappresentanze Sindacali, con le Organizzazioni non Governative, con le Autorità Religiose, Politiche e Amministrative; possibilità che le medesime Istituzioni recepiscano nella loro attività legislativa studi o progetti senz’altro validi poiché provenienti da un management motivato da finalità altamente innovative.
Immagine aziendale e posizione nel mercato avvantaggiate da un contatto con il pubblico improntato alla trasmissione di messaggi positivi, chiari, trasparenti e verificabili.
Gestione del rischio per danni provocati dalla diffusione di notizie di abuso o sfruttamento sui lavoratori ad opera della stessa Organizzazione o dei suoi Fornitori.
Miglioramento delle relazioni industriali e quindi del clima sindacale improntato alla correttezza dei rapporti e alla chiarezza dei ruoli, alla collaborazione e alla condivisione delle responsabilità del business tra management e dipendenti.
Corretta e trasparente politica di selezione e assunzione del personale basata sulle effettive capacità con inserimento nell’Organizzazione solo di elementi validi e quindi in grado di dare un effettivo contributo operativo. In questa fase si dovrebbe escludere l’inserimento di personale che, pur valido, potrebbe creare problematiche ad un programma di sviluppo armonico.
Gestione delle carriere basata sul merito e sulle effettive prestazioni, potenzialità e sulla consapevole condivisione delle finalità aziendali.
Motivazione e fidelizzazione del personale basata sul clima di trasparenza e collaborazione, sull’orgoglio di appartenenza ad una Organizzazione orientata verso obiettivi etici, sul miglioramento continuo degli standard di lavoro, sulla formazione equa e strutturata, sulla chiara struttura organizzativa e di responsabilità.
Rapporti di collaborazione tra il personale basati sulla possibilità di comunicare direttamente o attraverso adeguati rappresentanti, sull’assenza di tensioni, invidie e gelosie, maldicenze e pettegolezzi, divergenze tra interessi personali e aziendali, situazioni di rischio operativo e possibili danni alla salute, casi di sfruttamento del lavoro minorile, lavoro forzato, lavoro nero, di abuso e discriminazione.
Questo Sistema, dal quale possono derivare i codici etici, è la premessa e il mezzo per la creazione di una finalità/opera d’arte che assume una validità e una visibilità autonoma.
La sintesi etica/profitto/opera d’arte
Massimo profitto = opera d’arte è forse una finalità che credo non sia mai stata presa consapevolmente in considerazione anche se, tante personalità, hanno operato verso questo obiettivo.
Certificazione di qualità - certificazione etica - codici etici - bilancio sociale - bilancio reale – Massimo profitto – opera d’arte :
è un discorso in crescendo da far paura a chi è abituato a “coltivare il proprio orticello”, a mantenere status ottenuti grazie a condizioni favorevoli e a ragionare soltanto su situazioni di piccolo cabotaggio.
Senza parafrasare, voglio affermare che coloro che non si adeguano a un modo deciso di affrontare le sfide dei prossimi anni, non solo sono superati ma decisamente pericolosi per la mancanza, quasi patetica, di indicazioni innovative e nel contempo fossilizzate.
La finalità dell’impresa, paragonata alla creazione di valore artistico, non è una mia geniale intuizione; senza citare i Grandi del passato, anche nel corso del secolo scorso, alcune personalità hanno creato situazioni che, senza alcuna certificazione etica garantita da organizzazioni internazionali, hanno perseguito e raggiunto tale obiettivo utilizzando la mia chiave di lettura.
Penso, ad esempio, alla figura di Raffaele Mattioli che, per quasi mezzo secolo, è stato ai vertici della Comit sintetizzando e concretizzando ciò che ho indicato come punto di arrivo di una gestione responsabile e creativa di una impresa; non a caso veniva soprannominato “banchiere umanista”ed era un ammirato interlocutore di personalità di appartenenze politiche antitetiche. Mattioli sosteneva infatti che aveva scelto gli studi economici perché “l’economia è contemporaneamente storia e filosofia, e la sua filosofia, qualche volta astrusa, è sempre connessa alle miserie e alle speranze umane”.
Raffaele Mattioli è un punto di riferimento degno di imitazione in quanto credo che mai gli sia balenata l’idea di essere competitivo con modalità tendenzialmente criminali; quest’ultime sono invece rilevabili quali componenti dell’attuale impostazione nella gestione di impresa e negli insegnamenti accademici.
Forse l’equazione potrà essere indicata con un termine più appropriato ma, per chi possiede una particolare sensibilità, penso sia una definizione che centri l’essenzialità di un risultato eccellente di una gestione etica e responsabile di impresa.
Il giorno 9 ottobre 2005 il Financial Times ( ripreso dal “Corriere della sera” del 10 ottobre), proponeva una nuova considerazione del valore dei massimi dirigenti di impresa per la quale, accanto all’abituale criterio basato sull’entità quantitativa di ricchezza, poneva come preminente quello della creazione, da parte degli stessi, di beni immateriali paragonabili a ciò che definito opera d’arte (capacità di influenzare il mondo, cambiare i modi di vivere, di lavorare e far cultura dell’umanità oltre che cercare di ottenere il massimo profitto). Le classifiche abituali sono state quindi stravolte con l’introduzione del nuovo criterio di valutazione.
Posso confermarvi che il nuovo metodo di valutazione era stato già precedentemente da me indicato in alcuni post del mio blog ( post del 30/09; 04/10; 06/10 2005) e posso garantirvi che non c’è stato alcun contatto tra me e la redazione del Financial Times ma siamo giunti alla medesima conclusione in merito.
Il concetto di beni immateriali, non disgiunti da quelli materiali, sarà credo, la grande sfida dei prossimi anni per le imprese e per gli stili di vita con l’archiviazione della già imperante figura degli yuppies (e simili) caratterizzata da una disarmante e consumistica superficialità.
In contemporanea alla mia elaborazione sul concetto di responsabilità, sono rimasto molto colpito dalla “apertura “ anche in sede accademica, di un particolare taglio teorico che ben si sposa con la mia visione: mi riferisco ad un Convegno tenutosi all’Università Bocconi dal titolo “I valori dell’innovazione” nel mese di ottobre.
Penserete forse che sia esagerato questo mio grande interesse dal momento in cui un convegno, oggi in Italia, non si nega a nessuno: il 50% degli italiani, secondo la rivista Riza Psicosomatica, è vittima di stati di apatia e di depressione eppure, i convegni, spuntano come funghi.
Il Convegno cui mi riferisco, è invece speciale: è stato organizzato dall’Università Bocconi ed in particolare dal Centro Ricerche Ask (Art Science and Knowledge) e dall’Unicredit nella persona dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, ideatore e appassionato sostenitore di grandi progetti riguardanti la responsabilità sociale di impresa.
Il Convegno parte dall’assunto che “il futuro è l’unico posto da cui non si può fuggire”. Questo concetto riflette lo stesso spirito di responsabilità e di preoccupazione per l’avvenire espressa da più parti, comprensibilmente dai giovani cui toccherà viverci, ma anche da quelle istituzioni che si assumono il peso di guardare alle conseguenze delle proprie azioni.
La visione di Alessandro Profumo è che i valori dell’arte contemporanea sono quelli dell’innovazione dei linguaggi, la rottura degli schemi e l’esplorazione di nuovi territori di ricerca: ecco perché l’Unicredit ha deciso di investire notevoli risorse, inusuale per un Istituto di credito, per finanziare e sostenere giovani artisti con le stesse motivazioni.
L’intervento nel campo dell’arte non è solo spinto da un interesse di futura valutazione o di collezionismo, bensì dal progetto di essere partner, sulla stessa linea di vedute, di una modalità che guarda ben oltre un’operazione di immagine.
Affidarsi ai valori dell’arte come spazio neutro e piano simbolico, nel quale giocare e sperimentare temi quali il confronto tra le culture e le opinioni, rappresenta un esempio di chi ha compreso che la vera realtà e il valore della sensibilità artistica, è la novità nel mondo dell’economia e che con quest’ultima si può coniugare.
Mi permetto di affermare che sono felice ed orgoglioso di questa iniziativa caldeggiata da Profumo e di condividere questa coraggiosa ed intelligente impostazione che conduce direttamente alla finalità teorizzata da me e dal mio staff e di cui ho scritto numerosi post: dopo il Financial Time (cfr. post n° 13), la prestigiosa Università Bocconi e l’Unicredit hanno mostrato una visione similare alla mia.
Mi dispiace aver deluso chi (ed inserisco anche illustri personalità) non ha compreso l’importanza dell’impostazione che fonde beni materiali ed immateriali, massimo profitto e opera d’arte e l’hanno considerata una ridicola visione liquidandola con “chi scrive tanto sul blog è proprio chi non ha nulla da dire”…in fondo però mi consola il detto popolare “solo lo stolto non cambia opinione” e mi auguro quindi che le persone cui mi riferisco, senz’altro di riconosciuta intelligenza, modifichino nel tempo questo giudizio e si rendano conto che il massimo profitto, raggiunto attraverso la creatività, è l’unico veramente condivisibile dalla comunità e si concretizza quindi in una vera e propria opera d’arte.
La mia teorizzazione è il punto di arrivo di un discorso tutto incentrato sulla responsabilità sociale di impresa ed è da considerare non una visione statica e definitiva…in ogni modo sono contento che vi siano punti di incontro tra la mia linea di pensiero e quella di Alessandro Profumo, uno dei banchieri più importanti d’Europa.

Riepilogo
La responsabilità sociale di impresa si estrinseca con mezzi etici (codici etici) per la finalità del massimo profitto = opera d’arte e ciò avviene se vi è piena corrispondenza dei mezzi alla verifica dei codici etici e se, con prove successive di ingegno e creatività, si raggiunge la finalità indicata paragonabile ad una creazione artistica condivisibile da tutti.
Qualora la finalità, sottoposta al vaglio dei codici etici, non superasse la prova di conformità agli stessi, non solo nel lungo termine verrebbe meno la finalità ma, si innescherebbe un processo di degenerazione che configurerebbe tutte le attività successive quali tipiche di una società tendenzialmente criminale.
Credo che non vi siano alternative a queste due direttrici.
Chiaramente ognuno è libero di operare le proprie scelte; io e i miei amici che condividono questa impostazione, ci permettiamo, senza alcuna presunzione di onniscienza, ma in maniera documentata, di considerare coloro che scelgono un orientamento opposto al nostro, inseriti, per le ragioni ripetutamente ribadite, quali partecipanti e propulsori di una cultura tendenzialmente criminale e di definirli, con le dovute cautele e un significato legato alla nostra concezione, “potenziali criminali” tout court.

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